#vitadascrittore
Amici lettori, vi sono mancato?
Alcuni di voi avranno senz'altro continuato a seguirmi sui social, altri invece ho avuto il piacere di incontrarli nei miei ultimi eventi.
Ho trascorso l'estate immerso e totalmente concentrato sulla scrittura del mio nuovo romanzo e sono felicissimo di annunciarvi che lo pubblicherò entro Febbraio del 2026. Iniziato a Marzo di quest'anno, mi ha preso così tanto che a Settembre avevo già la bozza pronta. Chi di voi ha avuto il privilegio di passare a trovarmi all'evento Il Giorno di Bacco, ha potuto vedere in anteprima lo sketch della copertina e il titolo del libro ma presto scoprirete TUTTI il percorso creativo che mi ha portato alla realizzazione della storia. Intanto, per stuzzicare la vostra curiosità vi anticipo che tratterà di AI e malesseri psicologici, temi però non direttamente correlati. La vicenda è ambientata in un futuro tecnologico e ho tratto ispirazione da un pensiero legato alla scomparsa di mio padre: delle persone che ci lasciano, cosa resta? Solo il ricordo?
Lo so, nei miei romanzi c'è sempre una parte importante del mio vissuto ed è vero che alcuni temi si ritrovano in ogni mia opera ma scrivere significa per me intraprendere un viaggio esplorativo nella mia coscienza. Cambiano le esperienze, gli spunti narrativi e gli scenari ma lo stile è un marchio di fabbrica. Ritroverete quello di Linee di morte, diretto e avvincente ma anche quello de Il Divoratore d'Ombra, introspettivo e misterioso.
Siete ansiosi di scoprirlo?
Qui sotto potete leggerne un assaggio e aspetto con trepidazione le vostre prime impressioni...
Stralcio di... (NO SPOILER per il titolo)
«Benvenuto nel Complesso Residenziale della Sacra
Famiglia. L’architettura, caratterizzata da linee fluide e curve organiche è
ispirata all’arte di Antoni Gaudì, architetto spagnolo, considerato il migliore
interprete del modernismo catalano, tra la fine del XIX e l’inizio del XX
secolo» recitò soavemente la voce di Master, mentre sui monitor al centro della
chiostrina scorrevano le immagini delle realizzazioni dell’artista.
L’Intelligenza Superiore avrebbe almeno potuto
riconoscere di averglielo ripetuto per la millesima volta. Lui non era un
esperto d’arte del passato e i palazzi che lo circondavano gli avevano sempre
dato l’idea di trovarsi all’interno di una stazione spaziale. Soprattutto il
bianco, presente ovunque, le forme arrotondate e le vetrate ampie alla maniera
degli oblò.
Restò immobile con il pollice rivolto verso il
pannello touch-screen retroilluminato, sul quadrante con il sensore di
riconoscimento delle impronte digitali.
Si trovava nel cortile interno, circondato dalle
quattro torri composte da moduli abitativi sovrapposti, davanti al Blocco
Sud-Est, quello dove abitava suo padre. Ma nessuno dei suoi conoscenti lo
avrebbe denominato in quel modo arcaico, neanche sua sorella. “Genitore
biologico” lo avrebbero corretto. E alloggiava rigorosamente al piano terra e
dal momento che aveva deciso di trasferirsi a Pedrera, quella di non allocarsi
oltre il secondo piano era stata l’unica scelta che era riuscito a imporgli.
Solo che il controllo remoto del suo modulo sembrava disattivato e per entrare
avrebbe dovuto farsi aprire da Master dopo aver effettuato l’identificazione.
Un bip irruppe improvvisamente nel silenzio
ovattato che lo attanagliava e balzò di colpo, roteando il polso con
lo smartwatch per farlo smettere.
“Stai calmo” si ripeté, con il cuore che aveva
preso a battere più forte, a tratti forse in maniera preoccupante, come se
volesse uscirgli fuori dal petto.
“Non è possibile che ogni volta…”.
«Ha bisogno di assistenza?» irruppe di nuovo la
voce virtuale, questa volta diffondendosi dal suo dispositivo.
Era rimasto fermo per troppo tempo e i sensori
dovevano aver registrato il suo livello esagerato di stress.
«È tutto a posto, sto pensando…». Ma si era
espresso male. Come avrebbe interpretato un programma quell’affermazione?
Avrebbe dovuto dire semplicemente di aver bisogno di tempo per decidere cosa
fare.
Il problema era che quel mondo gli stava stretto.
Era colpa della sua famiglia biologica? Perché non lo avevano fatto crescere
nel Collegio Accademico Kliver anche dopo la nascita? Si erano privati di lui
già dal terzo mese di procreazione, cosa gli sarebbe costato lasciarlo nelle
mani degli istruttori virtuali fino all’età d’inquadramento? Quelli che lo
avevano fatto avevano figli decisamente più allineati allo sviluppo cognitivo
richiesto dalle nuove generazioni. E invece no, perché la sua famiglia era antiquata,
proprio come lo store che gestiva suo padre.
Per sua sorella era stato diverso, però. Con lei
era stata spezzata la tradizione.
«Desidera che le inoltriamo un appuntamento per
un programma psichiatrico?».
«Non è necessario» rispose seccamente. Il suo
livello di ansia doveva aver raggiunto valori preoccupanti. Perché in tutto
questo, non aveva mai trovato la forza di reagire, di cambiare il destino
mediocre che gli era capitato. “Ti sei parcheggiato” gli aveva sempre detto suo
padre, così insensibile da non comprendere quanto contribuisse ad avvilirlo
ulteriormente.
«Desidera nuove emozioni lavorative? È scontento
delle sue attività ludiche? Chieda al suo Coach e Master le proporrà
sicuramente delle entusiasmanti alternative». La voce venne divulgata dagli
speakers del monitor gigantesco che era rivolto verso di lui, ma evitò di
voltarsi per guardare le immagini di propaganda. “Già, come no?”. In realtà la
sua attuale occupazione non era tanto male, sicuramente meglio di starsene a
catalogare vecchie anticaglie.
Eppure c’era stato un tempo che aveva cercato
l’approvazione del suo vecchio, mostrandosi interessato. C’era stato un tempo
che non se la sarebbe presa così facilmente come adesso per qualsiasi cosa.
“Sei capace solo di lamentarti” si disse.
Appose il pollice sulla placca, sospirò e disse:
«Master, il mio genitore biologico è in casa?».
Trascorse più di un secondo, troppo per un
sistema di controllo. Ma potevano esserci dei guasti, che non erano poi così
poco frequenti.
«Signor Jonathan, il suo genitore biologico non
esiste».
Per un istante gli si gelò il sangue nelle vene.
“Ma che stupidaggine è questa?” pensò, non riuscendo a trattenere un sorriso di
sdegno.
Qualora suo padre avesse disattivato il Coach, le funzioni generali del sistema non dovevano essere state compromesse. Suo padre continuava a non digerire di buon grado il progresso tecnologico seppure, dopo la morte della compagna, avesse dovuto imparare una lezione amara: "Avessimo saputo del suo disagio psicologico, avremmo potuto salvarla" gli aveva detto una volta, dopodiché aveva concesso ai Coach di Master di controllare la vita dei suoi figli e a differenza di lui, sua sorella era cresciuta nel Collegio Kliver di LaPiccolaSvizzera finché non era stata proposta per un incarico nella Stazione Spaziale Lunare.
«Master, apri l’ingresso principale».
Sarebbe poi entrato nel modulo abitativo con il
riconoscimento biometrico. Ma prima che la porta a vetri a scorrimento laterale
s’infilasse nella parete il riflesso gli rimandò l’immagine di un uomo dalle
spalle troppo curve in avanti, come se il peso della vita lo stesse
schiacciando e chissà perché ultimamente non riusciva a cancellare quelle
maledette occhiaie dall’espressione vinta. Eppure era alto un metro e ottanta,
fisico atletico, sguardo intenso e penetrante, occhi neri che sarebbero stati
capaci d’incantare qualunque donna, se solo avesse capito cosa c’era che lo
demoralizzava, che lo rendeva così scostante dalla vita.
“Hai trent’anni, non sessanta! Reagisci, cazzo!”.
Ma per quante volte se l’era ripromesso, la risposta era sempre stata la
stessa: non ci riesco!
“Non vuoi” gli avevano detto le persone di cui si
occupava nel Residence, persone non più autosufficienti, malate o scomode,
parcheggiate perché sole o abbandonate. Persone che avevano amato la vita.
Raggiunse il pianerottolo con le scale per gli
altri piani, accompagnato dalle luci che aumentavano d’intensità man mano che
procedeva, e si soffermò prima a guardare le aiuole con le piante incassate
nelle pareti, protette da doppi vetri, poi la scritta lampeggiante sul display
dell’ascensore: “Fuori servizio” ripeté dentro di sé. Era guasto anche l’ultima
volta che era venuto a trovare suo padre, una settimana fa. “No, forse di più”
si corresse, ma chissà quante volte era stato riparato. Non tutte le ditte di
manutenzione potevano permettersi personale qualificato. “Non sempre basta
seguire soltanto le istruzioni del Coach” gli ripeteva suo padre in più di
un’occasione. Ma ciò che contava era il numero di interventi mensili compresi
nel contratto.
Il monitor sulla parete s’accese mostrando il
video di un’alba radiosa. «Non attendere un’altra occasione, il tempo passa
inesorabilmente».
La porta del modulo abitativo era socchiusa.
“Perché?” si chiese, spingendola lentamente. Il
sole era alto nel cielo ma all’interno erano attive le pellicole oscurate e le
luci di sicurezza sul pavimento.
Entrò.
«Papà?».

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